Il trequartista è il ruolo che, con tutta probabilità, più di ogni altro, ha acceso l'immaginario collettivo di tanti appassionati di questo sport.
Nel passato la maglia numero dieci apparteneva al giocatore di maggior talento di ciascuna squadra e anche in quelle piccole, chi la indossava risultava essere una spanna sopra agli altri in fatto di classe ed eleganza.
Oggi questo ruolo ha subito una certa inflazione e molti integralisti lo hanno addirittura eliminato dai propri schemi; per questo motivo, uno dei calciatori più forti che abbiamo oggi in Italia, Domenico Berardi, non trova spazio in un grande club e men che meno in Nazionale e, ditemi quel che vi pare, io la ritengo una bestemmia bella e buona.
10° Wolfgang Overath
Siegburg (Germania), 29 settembre 1943
Inauguriamo la classifica dei trequartisti, ruolo che sa accendere la fantasia dei tifosi, ruolo aleatorio, a volte sconfina in quello dell’attaccante, a volte in quello del regista, in genere il trequartista è un giocatore dotato di una classe molto al di sopra della media.
Analizziamo la posizione numero 10, riferendoci ad un calciatore che agli esordi fu, essenzialmente regista, quindi centrocampista, ma che concluse la sua carriera libero da vincoli di costruzione del gioco, inaugurando, forse, proprio il ruolo del trequartista moderno.
Si narra che Overath riuscisse a centrare da centrocampo, col suo sinistro potente e preciso un pallone posto sul dischetto del rigore, nove volte su dieci.
Aveva una classe smisurata ma era pienamente tedesco e quindi non ha mai amato la platealità e la giocata bella fine a se stessa, questo lo differenziò profondamente dall’amico-rivale Netzer, col quale, spesso, concorse per un posto da titolare in nazionale.
Fu fedele ad una sola squadra, il Colonia, dove militò per tutta la sua carriera, rifiutando decine di proposte allettanti sia dal punto di vista della carriera che del denaro.
In attività, una Coppa del Mondo (quella casalinga del 74), una Coppa di Germania ed un Campionato tedesco.
A fine carriera si ritirò in silenzio senza intraprendere alcuna professione connessa col mondo del calcio.
Per alcuni anni fu chiamato a fare il presidente del Colonia, anni difficili, dai quali traghettò fuori la squadra senza troppi danni; una volta sistemate le cose, tornò, novello Cincinnato al suo orticello.
Molti si sarebbero aspettati di trovare qui annoverati atleti come Zidane, Totti o Mancini che invece saranno assenti;dieci posizioni, infatti, si fa presto a colmarle e i loro sostenitori non se ne avranno a male.
https://www.youtube.com/watch?v=uv3phze6zAE
9° Gheorghe Hagi
Săcele (Romania), 5 febbraio 1965
Nasce in un sobborgo di Costanza, quieta città sul Mar Nero, il “Maradona dei Carpazi” al numero 9 della mia personale classifica dei trequartisti.
Del suo alter ego argentino ha lo stesso genio e la stessa sregolatezza, la medesima faccia da schiaffi ma un palmo di classe in meno e due palmi di accortezza politica in più.
Dopo gli esordi nel Farul di Costanza e poi nello Sportul di Bucarest, si accorge di lui lo Steaua, la squadra del figlio di Ceausescu, personaggio crudele e meschino, col quale Hagi si legherà in stretta amicizia, salvo poi rinnegarla all’indomani della caduta del dittatore.
Hagi di classe ne aveva veramente molta, era giocatore discontinuo che poteva sonnecchiare per larga parte della partita per poi illuminarla con due o tre giocate memorabili.
La sua classe non poteva non essere notata da un grande club e così il Real Madrid se lo portò a casa, pagandolo (non si sa a chi) una vera fortuna.
Nel Real, tuttavia, non mantenne le promesse e le premesse e dopo due anni fu ceduto poiché in rotta con i “capi” spogliatoio Butragueno e Hierro.
Complice la presenza del suo pigmalione Lucescu sulla panchina, approdò a Brescia; erano gli anni in cui anche un top player poteva sbarcare in una squadra di provincia e questo accadde.
Ma le cose non andarono un granché bene e la squadra di Corioni retrocesse in serie B.
Hagi aveva offerte dal Manchester Utd e dal Liverpool ma orgogliosamente volle rimanere a Brescia per riportarla in serie A, rinunciando a ottimi compensi.
Così avvenne e a fine campionato Hagi salutò tutti, trasferendosi prima al Barcellona e poi al Galatasaray che alla fine sarà la squadra dove giocherà di più e con la quale vincerà l’unica competizione internazionale nel suo palmarès, la Coppa Uefa, nel 2000.
Altri successi della sua carriera: 3 campionati rumeni e tre coppe di Romania con lo Steaua, e 4 campionati turchi e due coppe di Turchia col Galatasaray.
Suo grande cruccio non essere riuscito mai a vincere il Pallone d’Oro. “Se non fossi stato rumeno”, era solito dire, “me lo avrebbero dato!”:
Oggi fa l’allenatore, con poco successo e il gestore di villaggi turistici nella natia Costanza con maggiori soddisfazioni.
https://www.youtube.com/watch?v=sT3lQYJc3Bw
8° Robert Charlton, detto Bobby
Ashington ( Inghilterra ), 11 ottobre 1937
Ottava posizione, senz’altro meritata, per questo giocatore dalla tecnica perfetta e dallo stile british, dentro e fuori dal campo; il suo amico Sir Matt Busby, diede di lui il giudizio più calzante: "Non è mai esistito un calciatore più popolare. Era così vicino alla perfezione, come uomo e come giocatore, che di più sarebbe stato impossibile"
Scampò nel 1958 al disastro aereo di Monaco ove persero la vita alcuni compagni del Manchester Utd.
E’ stato per lunghi anni cardine insostituibile del gioco offensivo dei rossi del Manchester e della nazionale inglese.
Nel suo club giocava da trequartista classico, mentre in nazionale aveva un ruolo nettamente più offensivo.
Oltre al Campionato mondiale casalingo del 1966, vinse il Pallone d’Oro (nello stesso anno) e poco (in relazione alla qualità del soggetto) altro: una Coppa dei Campioni, una Coppa d’Inghilterra e tre Campionati Inglesi.
Dopo i lunghi anni a Manchester annunciò il ritiro nel 1973 ma poi ci ripensò tre volte; dapprima fu convinto a giocare nella squadra di terza serie del Preston e per due anni restò li, tra alti e bassi, con la doppia veste di allenatore e giocatore, poi, dopo un altro mancato addio, approdò nella squadra irlandese del Waterford dove giocò 4 partite a gettone; infine mise fine a questo poco onorevole crepuscolo in Australia nel Melbourne Victory.
Il passo d’addio nel 1976; dopo la fine dell’attività agonistica fondò un gran numero di scuole calcio, in Inghilterra ed in altre parti del mondo.
https://www.youtube.com/watch?v=EifGexzoxNY
7° Alessandro Del Piero Conegliano Veneto (Treviso), 9 novembre 1974
Sembra davvero paradossale che uno come Del Piero non abbia mai vinto il Pallone d’oro (trofeo tributato anche ad un giocatore medio come Sammer) ma è la pura verità, il numero 7 della mia personale classifica dei trequartisti, recordman di goal segnati in Italia (secondo solo a Piola, ma in un calcio assai più competitivo) capace di denominare un tipo di tiro e di sostenere le trame offensive di una delle migliori Juventus di sempre, non è stato mai insignito di questo premio.
Se Roberto Baggio, dalla classe ineguagliabile, era Raffaello, Del Piero non poteva essere che Pinturicchio e questo soprannome, affibbiatogli da Gianni Agnelli lo ha sempre accompagnato nelle cronache sportive.
Meno classe di Baggio ma più potenza ,più carattere e più visione di gioco, che lo portò anche a riuscire ad “immaginare” il goal dello 0 - 2 alla Germania, nella semifinale di Dortmund, prim’ancora di realizzarlo.
In carriera ha vinto molto; la Coppa del Mondo del 2006, sette scudetti (di cui uno revocato) una Champions League e una Coppa Intercontinentale.
Vinse anche un campionato di serie b con la Juventus retrocessa a seguito dello scandalo di Calciopoli; in quell’occasione fu uno dei pochi “campionissimi” ad accettare di rimanere anche in b, declinando offerte assai consistenti di Real Madrid ed Arsenal.
Oggi a 42 anni, dopo aver disputato, il suo ultimo campionato in India e dopo due anni in Australia, scelta dal giocatore per il dopo Juve, ha riposto gli scarpini in soffitta ed è stato accolto nella variegata messe di ex campioni opinionisti di Sky.
https://www.youtube.com/watch?v=TePJW6JUm84
6° Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira Belém (Brasile), 19 febbraio 1954 – San Paolo (Brasile), 4 dicembre 2011
Quando penso ad un grande campione che non è riuscito a dimostrare la sua classe sovrannaturale penso sempre a Socrates, che metto al 6° posto tra i trequartisti di ogni tempo.
Molto alto, longilineo, Socrates aveva un piede piuttosto piccolo (portava il 38) e delle gambe lunghissime e magre; la sua silhouette poteva far pensare ad un saltatore in alto, invece era un calciatore dalla tecnica più che sopraffina, un vero campione.
Di famiglia poverissima, originaria dell’Amazzonia, il giovane Socrates fu stimolato dal papà, oltre che al gioco del pallone, allo studio; egli portò avanti le due cose di pari passo, arrivando a laurearsi in medicina ( con specializzazione in pediatria) e ad esordire col Botafogo.
Dal Botafogo passò al Corinthians nelle cui fila ha fatto vedere le sue giocate più belle ed i servizi illuminanti per le punte.
Fieramente contrario al regime autoritario dei militari, convinse i compagni a scendere in campo con scritto “democrazia” o “libertà” sulle maglie
Politicamente schierato a sinistra, poco incline alla possibilità di compromessi, venne accolto con sarcasmo quando nel 1984, complici le giocate sbalorditive fatte vedere al Mundial spagnolo, sbarcò in Italia, ingaggiato dalla Fiorentina.
Malgrado fosse entusiasta di questa nuova esperienza, rimase assai deluso dall’ipocrisia e dalle manipolazioni mediatiche, proprie del calcio italiano e decise di tornare in patria dopo una sola stagione di alti e bassi.
Due anni tra Flamengo e Santos e poi il ritiro, col ritiro il ritorno alla passione antica della medicina che eserciterà, in forma pressoché gratuita, nelle favelas di San Paolo.
Ebbe un vizio comune a molti sportivi sudamericani, quello dell’alcool, vizio devastante e che lo porterà anzitempo alla morte per le complicanze di una cirrosi epatica.
Era solito dire: “ Vorrei morire il giorno che il Corinthians vincerà lo scudetto”, fu esaudito, il 4 Dicembre 2011, il Corinthians, pareggiando col Palmeiras si aggiudicava il titolo brasiliano.
https://www.youtube.com/watch?v=L9P1uJ_oxC8
5° Juan Alberto Schiaffino Montevideo (Uruguay), 28 luglio 1925 – Montevideo, 13 novembre 2002
«Schiaffino, con le sue giocate magistrali, organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla più alta torre dello stadio”; il giudizio lusinghiero non è di un tecnico ma del grande scrittore uruguagio Eduardo Galeano, questo significa che la classe di Schiaffino non si è limitata a suscitare esaltanti valutazioni tecniche ma si è estesa all’immaginario collettivo.
Trequartista classico, col tempo arretrato al ruolo di regista offensivo, nasce in Uruguay da un padre di chiare origini italiane e da una madre paraguayana;
In casa Schiaffino non si navigava nell’oro, per cui il giovane Pepe (suo soprannome) per poter coltivare la passione per il calcio fu costretto contemporaneamente a sostentarsi lavorando in una fabbrica di alluminio di giorno e, saltuariamente, facendo il panettiere di notte.
Una volta raggiunta la notorietà e il benessere non dimenticò mai da dove venisse e fu attento amministratore della propria fortuna.(qualcuno aggiunse in modo quasi morboso)
Dopo i fasti del mondiale brasiliano, sottratto con merito e a domicilio ai padroni di casa e che lo vide protagonista indiscusso della finale, Schiaffino sbarcò in Italia, confermando la sua classe e scontrandosi a volte (a causa del suo carattere caparbio e a tratti scostante) con gli altri compagni.
In quanto oriundo, fu convocato anche in nazionale, ma con gli azzurri fu testimone di disfatte piuttosto che di fasti.
Terminò la carriera nella Roma giocando da libero.
In attività vinse, oltre al citato mondiale del 1950, cinque campionati in patria col Penarol e tre in Italia col Milan; con la Roma, suo ultimo datore di lavoro, si aggiudicò la Coppa delle Fiere ( che poi diventerà Coppa Uefa) nel 1961.
Per me al numero 5 dei trequartisti di ogni tempo.
https://www.youtube.com/watch?v=IlEbayJdVqY
4° Arthur Antunes Coimbra “Zico” Rio de Janeiro(Brasile), 3 marzo 1953
Per prima cosa metto Zico al quarto posto della classifica dei trequartisti di sempre, con questa mossa cercherò di ammortizzare le reazioni a quello che sto per dire.
Zico è, a mio avviso un giocatore sopravvalutato. Ecco, l’ho detto…l’ho detto anche per Messi (e comunque l’argentino può ancora dimostrare che mi sbaglio)e lo ribadisco per il brasiliano.
Una classe al di la dell’umana conoscenza, tiro, dribbling, visione di gioco ma spesso fini a se stesse; utili a celebrare la classe del campione ma non decisive per la sorte della stagione più che della singola partita.
Perché la singola partita, invece, Zico la risolveva e di frequente, ma la continuità e il senso di appartenenza alla squadra, a volte hanno difettato in lui.
Dopo gli anni dei successi in Brasile col Flamengo, fu portato in Italia nel 1983, con un blitz, da Franco Dal Cin, direttore sportivo dell’Udinese, che lo soffiò alle due milanesi per la bella cifra di 6 miliardi di allora.
La politica, preoccupata dalla ricaduta sociale di quelle cifre, tentò di far saltare il trasferimento ma ci fu un notevole moto di ribellione della piazza che minacciò anche la secessione autoproclamata (ben prima della lega)se a Zico fosse stato impedito di calpestare il prato del Friuli.
La tensione si allentò e il trasferimento ebbe luogo con soddisfazione degli sportivi italiani che poterono vedere da vicino questo fenomeno,
La squadra è competitiva : Virdis, Causio, Tesser, Mauro, Edinho e Gerolin i punti di forza, ma non va oltre il centro classifica sfiorando solo la qualificazione alla Uefa; l’annata seguente si salva a fatica e vuoi per i mutati scenari societari (Dal Cin abbandona la squadra)vuoi per problemi di evasione fiscale e di trasferimento illegale di valuta che la Guardia di Finanza, imputa al giocatore (molto più determinanti), Zico decide di rescindere il contratto e tornarsene in Brasile.
A fine carriera inaugurerà la prassi, al momento molto praticata, degli “ospizi dorati” dei vecchi campioni in declino, che si recano a giocare in campionati minori, in parte per esportare il calcio di qualità in palcoscenici inconsueti, in parte per rimpinguare i già consistenti patrimoni personali.
Oggi Zico fa l’allenatore, scegliendo campionati ancor più periferici di quello giapponese dove militò fino al termine dell’attività agonistica; al momento è in India, ed è l’allenatore del Goa!!
https://www.youtube.com/watch?v=mHDmzYPnsTM
3° Michel François Platini
Jœuf (Francia) , 21 giugno 1955
Le cronache dicono che Platini sia stato l’unico centrocampista a vincere la classifica dei cannonieri del campionato di serie A.
Ma Platini era un centrocampista? Io non credo, “Le Roi Michel” era, come tutti i grandi campioni, tanti ruoli messi insieme.
Organizzava ed ordinava il gioco, suggeriva alle punte e scendeva al limite dell’area per finalizzare l’azione; trequartista? ( lo metto al terzo posto in questa classifica, ma sicuramente non tutti condivideranno la mia scelta) Mezzapunta? Regista avanzato? Regista e basta? Perché farsi limitare da un’etichetta? Platini era Platini, il cervello e la classe, il giocatore che sdoganò dalla terza fascia di merito la nazionale di calcio francese, portandola a vincere gli Europei del 1984 gettando le basi ai futuri fasti della fine degli anni 90.
Platini, anche grazie all’apporto di un giocatore fenomenale come Tardelli ( e ,come lui, soffiato dalla Juventus all’Inter di Fraizzoli), permise alla Juventus, dominatrice, ma solo in patria, di assurgere finalmente al rango di prima donna del calcio europeo.
La famiglia era di origine italiana e trapiantata nei pressi di Nancy; da bambino aveva un fisico gracile che sembrava inadatto non solo al calcio ma a qualsiasi sport che avesse preveduto contatto fisico, ma la storia seguente avrebbe smentito tutti i presupposti fisici della sua infanzia.
Il bottino di una carriera luminosa è pingue: i tre Palloni d’oro conquistati danno l’idea della caratura del giocatore e della considerazione goduta presso il giornalismo sportivo; oltre essi, dopo una Coppa di Francia col Nancy ed una Campionato col Saint Etienne, vinse una Coppa Italia, due scudetti, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe e una Coppa Intercontinentale, tutte con la Juventus, sua unica squadra dopo gli esordi transalpini.
Si ritirò nel 1987 ed intraprese la carriera di tecnico che però abbandonò in favore di quella di dirigente, più confacente al suo carattere di leader. E' stato
presidente dell’Uefa e quando pareva ormai ineluttabile una sua scalata all'empireo della Fifa scivolò sulla buccia di banana rappresentata dal sistema Blatter a cui lui, pur criticandolo, s'era adeguato.
https://www.youtube.com/watch?v=0SQyYXbM-Kg
2° Ferenc Puskás
Budapest (Ungheria) , 1° aprile 1927 – Budapest, 17 novembre 2006
Chi è il giocatore più forte che abbia calcato il palcoscenico del calcio? Cristiano Ronaldo? Maradona? Messi? Di Stefano? Pelè? Cruijff? Se questa domanda l’avessimo posta sul finire degli anni 50, la risposta sarebbe stata senz’altro Ferenc Puskas, che incantò il mondo con la sua potenza e la sua classe.
Fu uno dei massimi artefici dei risultati di una delle squadre mitiche della storia del calcio; la nazionale Ungherese.
Nello stessa covata si ritrovarono, infatti oltre a Puskas anche Czibor, Kocsis ed Hidegkuti e con campioni di questa taglia il risultato era sempre a favore dei magiari.
Allo scoppio della rivolta del 1956, Puskas si trovava in tourneè con la sua squadra di club, la Honved e ritenne prudente al paro dei suoi compagni di non rientrare.
Per più di un anno stazionò con la famiglia a Bordighera nella vana attesa che una squadra italiana (Fiorentina ed Inter lo avrebbero fatto ben volentieri) potesse tesserarlo.
Alla fine andò in Spagna nel Real di Gento e Di Stefano i cui successi saranno noti a tutti gli amanti del calcio.
Il ruolo di Puskas era quello dell’interno destro, ma, stante lo schema di gioco dell’Ungheria (il WM) il ruolo di centravanti era occupato da Hidegkuti, altro grandissimo campione, ma proprio in ossequio la sistema di gioco, faceva il centravanti arretrato, interagendo con i due superbi interni, Puskas a destra e Kocsis a sinistra che penetravano le difese avversarie come se fossero di burro.
Vinse tantissimo, gli mancò solo il campionato mondiale che l’Ungheria gettò al vento nel 54 ( anche per l’ostinazione del commissario tecnico reo di far scendere in campo ugualmente Puskas in finale sebbene infortunato ,ed allora non erano previste sostituzioni) perdendo 3-2 la finale con la Germania che era stata battuta nella fase iniziale 8-3!!!!
Nel suo palmarès la vittoria alle Olimpiadi del 1952, 3 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale 1 Coppa di Spagna e 5 Campionati col Real Madrid mentre in Ungheria aveva vinto già 5 scudetti colla Honved
Nonostante il suo essere una punta anomala o un trequartista avanzato in carriera segnò più di 1000 goal e per uno che, comunque ,non era un centravanti classico, mi sembra un bottino epico.
Lo pongo al secondo posto, credo senza possibilità di contestazioni, della mia classifica.
https://www.youtube.com/watch?v=zeUp_aGj8YA
1° Diego Armando Maradona
Lanús (Argentina), 30 ottobre 1960
Ridurre il personaggio Maradona ad una scheda non è impresa ardua; è praticamente impossibile.
Maradona è stato tutto: destra e sinistra, potere e anarchia, professionismo ed inaffidabilità denaro e favelas, tradimento e amicizia, astuzia ed idiozia, giustizia ed evasione fiscale, bulimia e digiuno, razionalità e cocaina; è praticamente impossibile descrivere il calciatore più forte mai visto sulla terra e difficilissimo affidargli un ruolo, non era una mezzapunta ma neanche un regista, non era un centravanti e neanche tanto un trequartista (anche se lo inserirò in questo ambito e ovviamente al primo posto) era solo Maradona e giocava dove gli pareva.
Le immagini sbiadite del memorabile goal all’Inghilterra nella semifinale dei mondiali del 1986 sono, forse, l’apporto mediatico più calzante per descrivere la classe ed i fondamentali di questa icona del calcio.
Altre parole potrebbero risultare banali e scontate, mi limiterò agli allori:
Vinse un Pallone d’oro alla carriera e un Campionato del Mondo ( al secondo, quello di Italia nel 90, ci andò vicino);
Una Coppa Uefa, una Coppa Italia e due scudetti, nel Napoli; un Campionato argentino col Boca Juniors e una Coppa di Spagna col Barcellona.
Altri campioni vinsero di più ma detti trofei li vinse prevalentemente Maradona, col contributo della squadra in cui giocava Maradona!https://www.youtube.com/watch?v=rHXtnAwH8Js
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