martedì 17 gennaio 2017

I più forti calciatori di ogni tempo: i CENTRAVANTI







Dopo aver completato tutte le aree del campo di calcio, enunciando i dodici più forti giocatori per ogni ruolo o settore, completo l’opera occupandomi di quello che, forse più d’ogni altro, riesce ad accendere la fantasia degli amanti del calcio, ovvero della punta centrale, del goleador, del centravanti.
Qui la selezione si è fatta "sanguinosa" e ho dovuto lasciare fuori tanti grandissimi come i tre raffigurati sopra ed altri come: Shevcenko, Piola, Rensenbrink, Eusebio, Paolo Rossi e Ronaldo ma dodici si era detto e dodici sono.


12) Arthur Friedenreich


 San Paolo (Brasile)18 Luglio 1892San Paolo, 6 Settembre 1969






Per iniziare questo novero mi sono sentito in dovere di nominare questo pioniere del calcio, ignoto ai più, che, si dice, in carriera abbia segnato più di 1000 goal.
Sto parlando di Friedenreich soprannominato El Tigre, un autentico predatore dell’area di rigore, un calciatore ben più avanti dei suoi tempi.
Era mulatto, figlio illegittimo di un commerciante tedesco e di una lavandaia nera, originaria della Sierra Leone.
In un epoca in cui vigeva ancora la sudditanza razziale, nella quale ai negri non veniva permesso di giocare al calcio, Friedenreich, che nonostante avesse gli occhi molto chiari, mostrava innegabilmente il suo essere mulatto, fu costretto ad usare tonnellate di brillantina per togliere il crespo ai capelli e a sottoporsi a continui bagni di amido di riso per sbiancarsi la pelle.
Il padre, che dapprima non lo riconobbe, gli venne in soccorso accettandolo a casa sua quando i primi exploit del giovane calciatore, lo convinsero ad assumerne ufficialmente la paternità.
Questo accasamento gli consentì di dissipare i dubbi sulla sua razza d’appartenenza e complice l’innegabile superiorità di Friedenreich rispetto a qualsiasi altro calciatore, gli fu consentito di esordire nel campionato paulista nella squadra del Paulistano (che oggi non esiste più) con la quale vinse 7 titoli.
Non prese parte alla fase finale del campionato mondiale del 30 e del 34 poiché i calciatori paulisti vennero esclusi dalla selezione per dissidi con i cariocas.
la leggenda vuole che questo grandissimo campione, che mise in evidenza una classe sopraffina, assente nella prestanza dei coevi, non avesse mai sbagliato un calcio di rigore in tutta la sua carriera.
Fuori dal campo ebbe una vita da dandy, cultore di sigari, brandy e belle donne, morì dimenticato dai più, ma riuscì a mantenere un esistenza dignitosa anche a carriera terminata, cosa che non riuscì a molte “cicale” del calcio che fu.




11) Giuseppe Meazza
  Milano, 23 agosto 1910Rapallo (Ge), 21 agosto 1979



Meazza era un bon-vivant, gran giocatore d’azzardo, gran tombeur-de-femmes, perfetto ballerino di tango, testa sempre lucida di brillantina, gardenia bianca all'occhiello di impeccabili completi blu gessati, idolo della Milano bene, capace di coricarsi all'alba della domenica, di dormire un paio d'ore e di segnare poi due o tre gol, beffando le più arcigne difese avversarie.”
Così il grande giornalista sportivo Gianni Brera descriveva, delineando perfettamente la sua personalità, uno dei più grandi attaccanti visti su un campo di calcio.
Un uomo nato per giocare a pallone, uno che nella vita prima e dopo del calcio, non riuscì a combinare un gran ché.
Meazza è stato il prototipo della punta moderna, non aveva lacune nel suo repertorio di calciatore e fu il cardine indiscutibile dei due successi mondiali dell’Italia anteguerra.
Segnò tanti goal anche in nazionale, al secondo posto dietro Gigi Riva.
Persona mite, non amante delle luci della ribalta, si dedicò anche allo scouting di giovani atleti segnalandone qualcuno che poi ebbe successo come Sandro Mazzola ed Altobelli.
Vinse due campionati con l’Inter che è stata la squadra più importante della sua carriera. All’undicesimo posto nella mia classifica delle punte centrali di ogni tempo.



10) Oleg Volodymyrovyč Blokhin
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Kiev (Ucraina), 5 Novembre 1952



Tutte le “grandi” del calcio europeo avrebbero fatto carte false per poterlo tesserare ma il regime sovietico impedì l’espatrio di questa formidabile punta ucraina, che ebbe la sfortuna di esplodere nel mondo del calcio troppo presto rispetto ai tempi.
Blokhin, prima ancora di un grandissimo calciatore, fu un atleta portentoso, potente e determinato, si narra che lui, mancino pieno, rimanesse in campo al termine degli allenamenti per perfezionarsi nell’uso del piede destro, tanto dal diventare a tutti gli effetti ambidestro.
La sua carriera calcistica, per i motivi citati precedentemente, non poté essere guarnita da allori particolari, stante la pochezza della gran parte dei suoi compagni di squadra, ma la conquista del Pallone d’Oro 1975, da l’idea della sua forza e anche la conquista delle due Coppe delle Coppe da parte della Dinamo Kiev (tra i pochi successi europei di questa compagine che con Blokhin tra le sue fila vinse otto campionati dell’Urss e 5 coppe di Russia) è segnata dal nome e dalle gesta di questo campione che scrutava la disposizione dei difensori da fuori area e poi li infilava regolarmente partendo da lontano.
A fine carriera, come tanti suoi colleghi, intraprese il mestiere dell’allenatore con alterne fortune.
Al momento, dopo le sue dimissioni dalla panchina della Dinamo a cui era approdato dopo aver guidato anche la nazionale Ucraina al mondiale del 2006, è alla ricerca di una squadra. Lo pongo al decimo posto dei centravanti d’ogni tempo.



9) Romário de Souza Faria
Rio de Janeiro(Brasile) 29 Gennaio 1966




Se qualcuno chiedesse ad uno sportivo brasiliano qualche ricordo del vittorioso mondiale del 1994, vi risponderà pronunciando quattro parole: Romario, Taffarel  Torres traseiro.
Del primo ce ne occuperemo più avanti, il secondo fu il lunatico portiere para rigori ben noto in Italia, deve militò nel Parma (spesso accomodandosi in panchina, visto che gli venivano preferiti Ballotta e Ferrari)e nella Reggiana. Il terzo fu l’arbitro della semifinale contro la Svezia che le combinò di tutti i colori consentendo ai carioca di giungere alla finale annunciata con l’Italia. Come andò a finire è noto a tutti (i rigori sparati in tribuna, le lacrime di Baresi) ma senza l’arbitraggio scandaloso che, consentendo ai difensori brasiliani un gioco violento e intimidatorio senza conseguenza alcuna, espellendo invece Thern per un fallo veniale su Bebeto, penalizzò lo squadrone che annoverava tra gli altri, i nostri Klaas e Kenneth, oltre che Schwarz, Thern, Brolin Bjorklund e molti altri, la semifinale avrebbe avuto senz’altro un altro esito.
In quello scandalo e nell’ambito di una squadra mediocre (probabilmente il Brasile più scarso mai messo in campo in una fase finale di un mondiale)svettava incontrastata la figura di Romario , “l’uomo che giocava da fermo” come lo ribattezzò il grande scrittore Eduardo Galeano.
Uno degli attaccanti più forti di sempre, che io pongo al nono posto assoluto.
Non aveva un carattere facile, Romario e le sue litigate furiose con Stoichkov negli spogliatoi del Nou Camp, fecero epoca.
Egli esordì nel Vasco de Gama in Brasile e si fece conoscere in Europa con la permanenza fruttuosa nelle fila degli olandesi del PSV.
Il Barcellona se lo assicurò a suon di dollaroni e con i catalani disputò un biennio calcisticamente elevatissimo.
I suoi conflitti di spogliatoio, dovuti anche al suo carattere intransigente, leale e fermo, lo portarono a traslocare presto alla volta del Brasile, salvo spezzoni di campionato disputati nel Valencia.
le caterve di reti segnate contribuirono alla conquista di 4 campionati in Brasile, 3 in Olanda ed 1 in Spagna oltre al Mondiale sopracitato.
Oggi fa il politico, eletto con percentuali bulgare nelle liste del partito socialista brasiliano.
Il suo fare politica non rispecchia il mito del “giocatore che non sudava mai” ed è invece alacre e coinvolgente e soprattutto alieno dalle consuete buone maniere del politicamente corretto; famosi i suoi taglienti giudizi su Pelè, Ronaldo e Blatter, che non sono certo in cima alle personalità di suo gradimento.
Resta da svelare il quarto artefice della vittoria ai mondiali del 94,giocati nel forno di Pasadena con inizio partita fissato a mezzogiorno e con temperature e tasso di umidità da bagno turco; si parlava, dunque, di traseiro; beh in italiano è traducibile con” fortuna” ma posta nella parte posteriore del corpo……….




8) Nándor Hidegkuti


Budapest,(Ungheria) 3 Marzo 1922Budapest, 14 Febbraio 2002





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lti asseriscono che se un centrale d’attacco preferisce partire da fuori area, trattasi si trequartista e non di centravanti.
Evidentemente non hanno mai visto all’opera Nàndor Hidegkuti.
Egli inaugurò un ruolo sconosciuto fino alla sua epoca, quello del centravanti arretrato.
la sua sagacia tattica, la sua potenza ed il senso del goal lo fecero pedina insostituibile nell’attacco dei “mostri” della grande Ungheria, con Puskas, Kocsis e Czibor.
Per descriverlo bisognerebbe poter immaginare un essere mitologico con la testa di Iniesta, il corpo di Klose e la sensibilità di piede di Rivera; avremmo ottenuto un giocatore assai vicino ad Hidegkuti.
La sua carriera calcistica si sviluppò per intero nell’Mtk di Budapest ( col quale vinse anche tre campionati ungheresi) ma il prestigio internazionale gli venne dai goal segnati e fatti segnare nella mitica formazione ungherese della metà degli anni 50.
Con loro si aggiudicò soltanto un oro olimpico ma il mito di quegli ingranaggi calcistici quasi perfetti va oltre i risultati contingenti.
A fine carriera, si dedicò alla professione di allenatore ed ebbe una panchina prestigiosa anche in Italia, quella della Fiorentina che guidò anche alla conquista della Coppa delle Coppe del 1961.
Allenò per una stagione anche il Mantova prima di tornare in patria.
Lo pongo all’8° posto della classifica degli attaccanti centrali di ogni tempo.




7) Gerhard “Gerd” Müller


Nördlingen, (Germania Ovest)  3 Novembre 1945




Se cercherete un’ acrobazia o un tiro dalla distanza o, comunque, un gesto esteticamente gradevole, tra i vecchi filmati in bianco e nero che ci mostrano questo giocatore in azione, resterete delusi.
Gerd Muller era un rapinatore dell’area di rigore, spesso avulso dal gioco ma sempre in agguato; per descrivere le sue segnature fu coniato il termine “goal di rapina” e questo la dice lunga sulle sue attitudini.
Muller giovanissimo, fu notato dal presidente del Bayern (allora nella serie B tedesca) mentre segnava pacchi di goal in una formazione semi professionistica.
L’approdo a Monaco non fu dei migliori; l’allenatore affermò, non appena lo vide: “ e che dovrei farmene di un sollevatore di pesi?”
In effetti a vederlo di primo acchito, Muller ha certamente poco in comune con l’iconografia classica del campione sportivo: basso, sgraziato, gambe grosse come due tronchi e piuttosto storte, pancetta evidente e in alcuni frangenti della sua carriera, addirittura prominente.
Eppure, mimetizzato tra compagni e difensori avversari nell’opposta area di rigore era rapido come un cobra a d impadronirsi del pallone e a metterlo in goal.
Nel 1973 il Barcellona gli promise ponti d’oro per averlo in squadra ed accoppiarlo con il grandissimo Cruijff.
Di certo avrebbero costituito la coppia d’attacco più forte di sempre; ma la federcalcio tedesca, si mise di traverso; il mondiale casalingo era alle porte e ancora bruciava la sconfitta con gli inglesi di 4 anni prima.
Muller rinunciò al trasferimento ma disse al commissario tecnico della nazionale che li avrebbe aiutati a vincere il mondiale ma che poi non avrebbe mai più indossato la casacca bianca.
Fu di parola e a 28 anni non rispose più alle sue chiamate.
Con il passare degli anni anche la potenza esplosiva che lo contraddistinse iniziò a venire meno e quando capì di non essere più al centro delle attenzioni del club bavarese, decise che era giunto il momento di traslocare.
Lo fece nel Fort Lauderdale Strickers, formazione emergente della Nasl americana, dove concluse la carriera.
Non riuscì ad ambientarsi bene fuori dal calcio e per questo, complice anche l’eccesso di alcool (sempre presente nella sua vita) ma in quel momento decisamente fuori controllo, cadde in una grave forma di depressione, dalla quale lo risollevarono le attenzioni dei vecchi compagni del Bayern che lo accolsero nello staff tecnico delle formazioni; posto che occupa anche in questo momento.
Nella sua carriera 4 Campionati e 4 Coppe di Germania, una Coppa delle Coppe, 3 Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale, tutte  col Bayern, una Coppa del Mondo e un Campionato d’Europa con la Nazionale Tedesca; due volte la Scarpa d’oro e una volta il Pallone d’oro.
Al 7° posto tra i centravanti di sempre.



6) Matthias Sindelar
  Kozlov,(Austria) 10 Febbraio 1903Vienna, 23 Gennaio 1939



Ebbe due soprannomi “Cartavelina” e “il Mozart del Pallone”, il primo per la struttura fisica molto minuta ed il secondo per la sublime qualità del suo gioco e per la nazionalità austriaca.
Fu il calciatore più rappresentativo del “Wunderteam”, la fortissima nazionale austriaca degli anni 30.
Di umilissime origini, fu uno dei primi grandi talenti del calcio europeo, inaugurando il ruolo di centravanti arretrato.
A vederlo, col suo fisico leggero e con le gambette da bambino, si faceva fatica a crederlo in grado di impensierire le difese avversarie, ma così non era e presto tutti se ne resero conto.
Non amava i “cugini” tedeschi e men che meno la deriva autoritaria della dittatura nazista, questa sua ostilità si concretizzò nel 1938 quando, a seguito dell’annessione dell’Austria da parte di Hitler, rifiutò decisamente di giocare nella squadra della “Grande Germania”, non solo, nella sua ultima partita giocata dalla sua squadra, l’Austria di Vienna, sul campo dell’Herta Berlino, si fece beffa dei difensori avversari segnando un goal e procacciando il secondo, esultando sotto la tribuna delle autorità e rifiutando di fare il saluto nazista al termine dell’incontro.
Fu trovato cadavere nel suo appartamento insieme alla giovane compagna italiana che frequentava da poco tempo.
Ufficialmente si parlò di suicidio provocato dalle esalazioni di monossido di carbonio di una stufa, in realtà, lo si scoprì in seguito ma nessuno aveva dubbi in proposito, fu la Gestapo a “suicidarlo”, preoccupata dal suo istinto libertario e dalla sua popolarità.
In carriera vinse due Mitropa Cup (antesignana della Coppa dei Campioni), un campionato austriaco e 5 Coppe d’Austria. Nel mondiale del 34 che “doveva” vincere l’Italia, diede molto filo da torcere ai difensori azzurri ma, complice anche un arbitraggio di parte, dovette arrendersi, al pari dei suoi compagni nella semifinale che lanciò Meazza e compagni verso il titolo.
Lo metto al 6° posto della mia personale classifica delle punte centrali di ogni tempo.



5) George Manneh Oppong Ousmane Weah
Monrovia,( Liberia) 1º Ottobre 1966





Lone Star era il suo soprannome, stella solitaria in italiano; al quinto posto assoluto tra le punte centrali di ogni tempo.
Nasce in Africa occidentale e precisamente in Liberia, nei sobborghi della capitale Monrovia, in una famiglia molto numerosa (14 figli) che i genitori allevano nella povertà ma comunque in maniera più che dignitosa.
George dimostra dalla più tenera età di saperci fare col pallone e sogna, inseguendo il suo mito personale Pelè, di sfondare nel calcio europeo; segna tantissimi goal in patria ma la notizia, ovviamente, resta confinata a quei territori, fin quando non viene notato da un osservatore di una squadra camerunense che lo tessera seduta stante.
Weah ha già 21 anni e capisce che quello è l’unico treno che passerà; si getterà anima e corpo in questa avventura facendosi notare dal commissario tecnico francese della nazionale camerunense che a sua volta lo indica ai talent scouts francesi.
Arriva nel 1988 la chiamata del Monaco dove inizia subito a giustificare il suo ingaggio, ricambiando la squadra del principato, con una messe di goal lanciandola ai vertici del campionato francese. Nel frattempo Weah non lascia gli studi iniziati nel suo paese laureandosi in amministrazione di attività sportive.
Dal Monaco Weah, passò agli ambiziosi parigini del PSG; prima però ci fu il mancato approdo al Cagliari di Cellino, pare per un rifiuto tassativo del simpatico Carletto Mazzone,( personaggio istrionico e mediamente acculturato di calcio ma periodicamente responsabile di topiche enormi come questa).
Nel Paris Saint Germain ebbe la consacrazione internazionale e il passaporto per l’ingresso nel Milan stellare di quegli anni.
Non ha vinto gran che in carriera: un campionato e tre coppe di Francia (una col Monaco e due col PSG) 2 Scudetti col Milan ed una coppa d’Inghilterra a fine carriera col Chelsea, però è ancora l’unico africano ad essersi aggiudicato il Pallone d’oro, il regolamento del quale (che assegnava il premio solo a calciatori europei) fu espressamente mutato, proprio per esaltare le gesta di questo giocatore intelligente e fisicamente molto dotato.
Ha avuto molti allenatori ma ha sempre detto che Wenger, Tabarez e soprattutto il portoghese Artur Jorge sono i soli che gli hanno insegnato qualcosa.
Oggi dismessi maglietta e pantaloncini, si sta dedicando alla politica, proponendosi alla guida del suo paese e investendo molti dei suoi soldi nella costruzione di scuole ed impianti sportivi.

4) Nils Gunnar Nordahl
  Hörnefors,(Svezia) 19 Ottobre 1921Alghero,(Italia) 15 Settembre 1995





Per permettergli di giocare a pallone ( a quei tempi in Svezia al calcio si giocava solo per divertimento) il Norkopping , la sua prima squadra di un certo livello, gli offrì un posto da pompiere e con quel soprannome lo ricordano i più.
Il Pompiere in realtà, faceva il fabbro tornitore in un paesino vicino al Circolo polare artico e ad un futuro nel calcio non ci pensava affatto.
Fu notato, però, da un allenatore ungherese che lo indicò alla Juventus che però, non ritenendolo adatto al calcio italiano, lo lasciò al Milan.
Nordahl era un agglomerato di 98 kg di muscoli per  185 cm. e si rivelò subito per quello che era, una vera e propria furia.
Nel suo incedere si trascinava dietro i difensori che avevano avuto la cattiva sorte di fronteggiarlo ,ma mai in modo scorretto, è d’uopo precisare che non ci troviamo di fronte ad un Chinaglia ,ad un Santillana o peggio ad un Suarez; Nordahl era correttissimo e aveva modi gentili ed affabili, dentro e fuori il campo., ma una forza fisica dirompente ed inarrestabile ed un tiro violentissimo.
Si narra che dopo una goleada alla Juve e a seguito dell’espulsione di Parola che aveva commesso un fallaccio proprio su di lui, Nordahl lo raggiunse all’ingresso del sottopasso dicendogli: “Scusa Carlo, mi dispiace per l’espulsione, ma non potevo non segnare”; inoltre che interrogato sul motivo per cui non tirasse i rigori (con la sua potenza avrebbe buttato dentro palla e portiere!) fosse solito rispondere che il rigore gli sembrava un’ingiustizia perché il tiratore avrebbe avuto molte più possibilità di segnare che il portiere di parare.
Innamorato a prima vista dell’Italia, fu determinante nel convincere i connazionali Gren e Liedholm a trasferirsi al Milan.
Il Barone,il Professore ed il Pompiere diedero vita ad un terzetto epico che tutti i tifosi di una certa età non possono non ricordare e che quello olandese, peraltro stellare, (Van Basten, Rijkaard, Gullit) avrebbe solo avvicinato
In carriera segnò 469 goal di cui 235 in serie A tra Milan e Roma (dove terminò la carriera agonistica)
Oltre all’Oro olimpico con la nazionale Svedese, vinse 4 campionati col Norkopping e 2 Scudetti col Milan.
A fine carriera lasciò completamente il calcio, ma il suo amore per l’Italia non venne mai meno, scegliendola ogni anno per le sue vacanze; l’ultima delle quali ad Alghero ove si spense a seguito di un infarto all’età di 74 anni.
Al 4° posto tra gli attaccanti di ogni tempo.


3) Zlatan Ibrahimović
Malmö (Svezia), 3 Ottobre 1981

A mio avviso è il 3° attaccante centrale più forte di ogni tempo.
Certamente poco simpatico, se non propriamente antipatico, nasce in Svezia da padre bosniaco e madre croata ,e non serve certo un fine psicologo a far derivare il suo pessimo carattere dalle vicissitudini patite nell’infanzia e adolescenza.
Il padre, manovale nell’edilizia, era spesso ubriaco, la madre durissima con i figli, fu arrestata due volte e la sorella fu a lungo tossicodipendente.
In questo scenario, in una casa dove il frigorifero era sempre vuoto e dove non sarebbe saltata fuori una corona neanche a capovolgerla, si è formato il carattere e la voglia assoluta di sfondare nel calcio del giovane Ibrahimovic.
Le sue insicurezze camuffate dalla sbruffonaggine e dall’esosità delle sue richieste è stata mitigata, nel tempo, dalla vicinanza della moglie “amministratrice della sua immagine” di età molto maggiore, sostituto di una madre assente e poco interessata alla vita dei figli.
Ciò detto, mi sembra coerente parlare ora dell’Ibrahimovic meraviglioso calciatore, poco meno di due metri di forza e classe ineguagliata che lo fa l’attaccante più forte in attività.
Non ha talloni d’Achille se non nel carattere e penso che abbia ancora due anni al top per completare se stesso.
In gioventù giocava sulla tre quarti, si convinse autonomamente ad avanzare quando approdò nelle giovanili del Malmo e dopo aver visto in televisione il formidabile attaccante zambiano Bwalya del PSV irridere col suo talento la difesa dell’Ajax in cui militerà, scherzi del destino, in seguito).
Ha giocato per le più importanti squadre d’Europa e d’Italia, vincendo complessivamente 12 campionati. Gli manca solo una fase finale dei mondiali che non raggiungerà in quanto ha deciso di non rispondere più alle chiamate della sua nazionale.


2) Marcel “Marco” van Basten Utrecht,(Olanda) 31 Ottobre 1964




Il Cigno di Utrecht non si era aggiudicato questo soprannome per caso; uno dei centravanti più micidiali della storia del calcio, aveva, nonostante il metro e novanta di altezza, un tocco da rifinitore e una classe pari alle grande stelle della trequarti campo.
La sua carriera, che raggiunse momenti fulgidissimi soprattutto con Milan ed Ajax, fu funestata da una sequela interminabile di infortuni che lo portarono ad un ritiro anticipato a soli trent’anni di età e a seguito di un calvario di due anni spesi nel tentativo di sistemare delle caviglie ormai prive di cartilagine articolare.
Carattere ombroso ma sempre cordiale e soprattutto, da buon olandese, incapace di bizantinismi e strategie comportamentali tese al gradimento del pubblico.
Elencare i suoi capolavori e i momenti eclatanti di una carriera breve ed intensa, sembra pratica superflua, essendo ben stampati nella memoria dei tifosi rossoneri e degli amanti del calcio tutti.
Tra i suoi allori, oltre al Campionato Europeo conquistato dall’Olanda col suo decisivo apporto, si devono ascrivere anche una Coppa delle Coppe,3 Campionati Olandesi e 3 Coppe d’Olanda con l’Ajax nonché 4 Scudetti, 2 Champions League e 2 Coppe Intercontinentali col Milan, senza contare i 3 Palloni d’oro e una Scarpa d’oro.
Totalmente mise a segno circa 300 goal e considerando la brevità dell’attività agonistica effettiva (tra i vari infortuni ed il ritiro precoce) salta subito all’occhio l’unicità di questo campione assoluto.
Come succede a tanti grandi calciatori, la successiva carriera di allenatore non ha dato grandi soddisfazioni; il tutto è culminato con le dimissioni dalla panchina dell’AZ Alkmaar a seguito di un periodo di forte ansia dovuta alla necessità di fornire prestazioni e successi in un mondo che macina uomini ed eventi.
Oggi è nello staff tecnico dell’allenatore della nazionale Blindt e sembra aver ritrovato la tranquillità che aveva perduto.
Al posto d'onore tra gli attaccanti centrali di ogni tempo.



1) Edson Arantes do Nascimiento " Pelè"
Três Corações, (Brasile)  23 Ottobre 1940







Citando l'enciclopedia Treccani: " Pelè, attaccante di notevoli qualità tecniche, tra i più forti talenti della storia del calcio. Dotato di un senso del goal fuori dal comune, interprete efficace di un calcio sintesi di tecnica e potenza, Pelè ha giocato nella squadra di calcio brasiliana del Santos (dal 1956 al 1974) vincendo 11 campionati nazionali, 2 coppe sudamericane e due intercontinentali; con la maglia oro della nazionale brasiliana in cui esordì a 17 anni, vinse 3 campionati del mondo (58, 62 e 70) (..) Soprannominato O Rey  nella sua carriera ha segnato poco meno di 1300 reti. Abbandonata l'attività agonistica, Pelè si è dedicato anche alla politica ed è stato, tra l'altro, ambasciatore dell'ONU e dell'UNICEF. Nel 2000 la Fifa lo ha indicato come "miglior calciatore del secolo" a pari merito con l'argentino D. A. Maradona.
La Treccani omette di dire che con l'altro talento assoluto Maradona lo lega profonda antipatia e poca stima reciproca dal punto di vista umano ma, si sa, un enciclopedia sancisce lo status di un personaggio e non le sue umane debolezze.
Pensando a Pelè non riesco a non vederlo in azione in quel campionato del mondo del 58 dove schiantò con la fattiva collaborazione del grande Garrincha la superfavorita Svezia; un ragazzino con la potenza di un centravanti fatto e con i lineamenti da virgulto qual era....un grande genio del calcio, molto accorto gestore del suo patrimonio e dell'immagine; un'icona di assoluto fulgore dello sport in genere.



 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 








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