giovedì 17 maggio 2018

WE ARE ONE! NOI SIAMO UNO,E SI CHIAMA JOEY SAPUTO!

Lo dice anche lo slogan: We are one. Noi siamo uno, e uno si chiama Joey Saputo.

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Cari Amici e Tifosi rossoblù,oggi voglio pubblicare questo bellissimo"ricordo"degli ultimi trent'anni della nostra"storia"rossoblù,a livello di Società e di dirigenze passate,del nostro club. "Cordate",coppie societarie,"scoppiate", che hanno fatto,del nostro amato club,il peggio che si potesse pensare o credere,a parte l'eccezzione Gazzoni,dove però alla fine fu pure Lui contestato(e chi vuole ricordare lo sa....).

Questo articolo di Emilio Marrese,fonte "Repubblica.it",fà ricordare a quelli di memoria corta,e che, in questo momento stanno criticando il nostro Presidente attuale,cosa abbiamo passato fino a pochi anni fà a livello di club e di immagine e pure di squadra!
Ecco l'articolo:

Il calcio è un sistema monocratico, se non dittatoriale. Le diarchie o ancor peggio le gestioni collettive in generale sono rarissime eccezioni. Specie qui, dove al comando non s’è mai visto nessun multiplo di uno. Le poltrone per due non esistono.
Tutti i tentativi di sperimentare, per necessità, formule diverse sono miseramente falliti: nel vero e proprio senso della parola, se andiamo indietro alla prima coppia scoppiata della storia rossoblù, quella tra Valerio Gruppioni e Piero Gnudi che, nel 1993, finì col crac finanziario in tribunale.


Gruppioni era nel Bologna sin da ragazzo, figlio di Gaetano dal quale aveva ereditato l’azienda Sira e la passione per il pallone. Vicepresidente virtuale all’ombra di Corioni negli anni ’80, Valerio, ragazzo benvoluto da tutti, tentò l’avventura appena trentatreenne alla guida del club insieme all’amico, ancora per poco, Piero Gnudi, solo omonimo dell’ex presidente dell’Enel ed ex ministro. G&G rilevarono il Bologna in B da Corioni e lo affidarono al Maifredi ancora sotto choc dopo il flop juventino investendo cifre faraoniche in astri calanti (sul campo, ma non nell’ingaggio) come Incocciati, Baroni o Gerolin in arrivo da Napoli e Roma. Così, con Sonetti in panchina, il Bologna si salvò a malapena dalla C, dove poi precipitò l’anno dopo continuando a costare come un club da Coppa Uefa. Emerse pian piano quel che era noto: dietro Gnudi c’era Pasquale Casillo, artefice del Foggia dei miracoli zemaniano, detentore di un quarto delle quote. Casillo commissariò la gestione, sempre più tragica, senza però risollevare le sorti del Bologna (l’anno di Bersellini, Cerantola e Fogli) e a quel punto Gruppioni si defilò in rotta con l’ex socio. Quando Casillo chiuse l’ombrello (e il borsello) abbandonando Gnudi al suo destino, non restò che portare i libri contabili ai giudici.

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E lì, nel ’93, arrivò Gazzoni con tutti i suoi soci. Un bel gruppo di imprenditori della Bologna bene (c’erano anche Pavignani, Bandiera, Martini, Goldoni e Rovati) che Comaschi, su queste colonne, definì “più uno skilift che una cordata”. Ma la cordata si spezzò al primo pendio, altra eclatante conferma alla regola enunciata in principio, perché il connubio tra Gazzoni e il socio più forte, la Coop Emilia Veneto presieduta da Piero Rossi, non funzionò. L’uomo delle cooperative in società era Ermete Fiaccadori, affiancato al ds Pecci: una cosa la videro giusta, Zaccheroni in panchina, ma i risultati non arrivarono e Zac fu cacciato. Il suggestivo esperimento consociativo che più emiliano non si poteva, finì molto presto e piuttosto male anche (o soprattutto) per ragioni politiche: Gazzoni infatti decise di candidarsi sindaco nel ’95 (quando, nella seconda stagione in C, con Oriali e Ulivieri la squadra tornava a volare) e le Coop lo accusarono di aver voluto usare il calcio alla Berlusconi (sceso in campo nel ’94). Gazzoni, deciso a far crollare «il mini Cremlino bolognese», replicò che semmai erano le Coop a essere entrate nel Bologna per controllare lui. Si arrivò addirittura al veto di ospitare il presidente del Bologna nelle trasmissioni di Rete7, al tempo ancora in mano alle Coop, perché non si facesse campagna elettorale attraverso i gol. Gazzoni, candidato liberale di destra (con la lista Nuova Bologna dai colori rossoblù…) ma profondamente antifascista, rifiutò l’alleanza con An e pagò piazzandosi solo terzo alle comunali. Le Coop, ormai da tempo emarginate nella gestione, vendettero quell’estate a Gazzoni l’ultimo 15% residuo della loro partecipazione azionaria



Quindici anni dopo altro salvataggio in comitiva, orchestrato da Consorte intorno alla figura di Massimo Zanetti per rilevare il Bologna dalle mani bucate di Porcedda, ed epilogo analogo. Stavolta alla colletta partecipano addirittura in una dozzina di soci, che Zanetti definirà sprezzante “gli amici del Bar Margherita” prima di passare alla storia, loro malgrado, come i “nanetti”. La compagine in questo caso respira per un mese appena e il signor Segafredo, offeso dall’opposizione interna, saluta. Guaraldi acquista sempre più potere e qualche mese dopo sale sul torpedone anche Maurizio Setti, imprenditore carpigiano (Manila Grace) col pallino del football. Ex centrocampista dilettante di calcio ne capisce più di tutti gli altri messi assieme, sostiene, ma la suddivisione di

 ruoli con Albano resiste, al solito, come il famoso gatto in autostrada. Setti, vice-presidente col suo 11%, accusa il presidente di non rispettare gli steccati (Albano prende Acquafresca e Diamanti di sua iniziativa, per esempio) finché non si stufa e nel 2012 va a fare a Verona, molto bene e da unico proprietario, quel che voleva fare qui. Ballò anche un Rolex per scommessa (sui punti che avrebbe fatto Pioli) che Albano, almeno quello, alla fine pagò. 

Quindi:    We were one,noi siamo uno,e si chiama Joey Saputo!

                                                                          Vincenzo coppola

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